• naturae

  • Ecce ens, ecce ens, mi viene da esclamare mentre guardo le fotografie di Luigi Billi. Perché non vi ritrovo l’uomo, ma l’ente, chiamato alla sua piena apparizione, nella sua disarmata ecceità (Duns Scoto: la perfezione che si realizza in ogni ente quando passa dalla specie universale alla condizione di individuo unico e irripetibile).

    Nature morte, dunque, affidate alla deissi come gesto grammaticale dell’indicare. Non una scarpa, tantomeno la Scarpa, ma “questa” scarpa. Il campo, insomma, è quello heideggeriano dello svelamento. Ma è proprio qui che nasce la sorpresa.
    La mossa di cavallo dell’artista ci obbliga infatti ad un transito inatteso, proiettandoci dalla filosofia alla merceologia - così mi viene in mente la variante blasfema sviluppata da Bernd Guggenberger in un saggio dal titolo Sein oder design.

    Perché il segreto è questo: l’epifania della Cosa non si realizza entro la sfera estetica, ma in un décor di Articoli Casalinghi, ovvero nel teatro dell’oggettistica.
    Tale è appunto lo scopo dei panneggi, che, come in un paesaggio metafisico, accolgono e preparano il presente (nel doppio senso di astanza e insieme dono), anticipando cioè l’atto supremo, il patto conclusivo, dell’incartamento.

    Siamo quindi nel campo dell’economia, di un ideale étalage del prodotto domestico.
    Il vero centro del quadro è nella stoffa, o meglio nelle pieghe di tessuto sapientemente predisposte per arricchire l’offerta commerciale. Penso al busto di Mao collocato accanto all’effige di un gallo, incongruo connubio degno di un Lautréamont.
    La differenza con il possibile modello sta nel fatto che i due referti in questione (lontani eredi dell’ombrello e della macchina da cucire prediletti dall’autore francese) non si incontrano su un tavolo operatorio, bensì tra le volute di un drappeggio da esposizione.

    Molto Duchamp, allora, Gorgone del Moderno: insomma epifanie rettificate. Ma in tutto questo, sempre, l’inconfondibile aura del feticcio. Caffettiere, orologi, ventagli, bottiglie, candele, telefoni, si mostrano all’osservatore nell’attenta regia predisposta da un vetrinista assente, da un vetrinista dell’Essere.

    Con un unico dubbio, però: che forse quel lenzuolo dove posano, nasconda una natura di sudario.