Tecnica mista su carta fotografica, cm 92 x 62, 2004
Ferocia, bianca e nera, dei regali, sospesi nell’odio.
Tra cascate sussiegose di lenzuola e cuscini di mutismi familiali, il guinzaglio lasco della serafica bocca da shopping -arenata nella cotonina natalizia- profila, sul suolo dello sguardo, pressoché una fisionomia purovisibilista. Un sorriso da rictus. Dentiera così poco mordace. E mondana.
Il nastro nero non trattiene che risentimenti.
Da “I Pacchetti”. Roland Barthes, L’Impero dei segni, Einaudi.
“Se i mazzi di fiori, gli oggetti, gli alberi, i volti, i giardini e i testi, se le cose e i modi giapponesi, che ci sembrano minuti (mentre la nostra mitologia esalta la grandezza, la vastità, la larghezza, l’apertura) non è tanto a causa della loro misura, ma perché ogni oggetto, ogni gesto, anche il più libero, il più mobile, sembra incorniciato, ‘inquadrato’”. La miniaturizzazione non deriva tanto dalla misura, ma da una sorta di precisione che la cosa mette nel delimitarsi, nell’arrestarsi, nel concludersi. Questa precisione non ha nulla di ragionevole o di morale: la cosa non è netta in modo puritano (grazie alla sua pulizia, alla sua franchezza ed oggettività) ma semmai grazie ad un supplemento allucinatorio (analogo alla visione provocato dall’hashish, secondo quanto suggerisce Baudelaire) oppure grazie ad una frattura che toglie all’oggetto il pennacchio del senso e sottrae ogni tergiversazione alla sua presenza, alla sua posizione nel mondo (...) attorno ad essa c’è il nulla, uno spazio vuoto che la rende opaca, e dunque ai nostri occhi ridotta, diminuita, piccola. Si direbbe che l’oggetto eluda, in un modo ad un tempo inatteso ed oculato, lo spazio nel quale si è sempre situato (...) Geometrico, rigorosamente disegnato, eppure da qualche parte segnato sempre da una piega, da un nodo, asimmetrico, con tutta la cura e la tecnica stessa della sua confezione, l’assortimento di carta, di nastri, esso non è più l’accessorio passeggero dell’oggetto trasportato, ma diventa oggetto lui stesso. L’involucro in sé consacrato come una cosa preziosa, sebbene gratuita: il pacchetto è un pensiero. (...) Tuttavia, grazie alla sua stessa perfezione, questo involucro, spesso ripetuto (non si finisce mai di disfare il pacchetto) differisce la scoperta dell’oggetto che esso racchiude e che spesso è un oggetto insignificante. Perché in fondo è connaturato al pacchetto giapponese il fatto che la futilità della cosa contenuta sia spropositata al lusso dell’involucro. (...) Si direbbe insomma che è l’imballaggio ad essere il vero oggetto del regalo, non già ciò che esso contiene. Così la scatola tiene il ruolo di segno”.