• hombres

  • Ne Il bandito delle 11 (1965) di Jean-Luc Godard, Ferdinand (Jean-Paul Belmondo) racconta una storia di Edgar Allan Poe: William Wilson (1). Il protagonista di Poe finiva con l’uccidersi per errore, perché non riusciva a distinguere il suo Sé dall’Altro, Ombra, o Doppio.Nell’epoca del simulacro, il tragico finale della storia di Poe può essere facilmente messo in rapporto con l’impossibilità postmoderna di distinguere un’immagine dal suo referente.

    Nel film di Godard, questa situazione disperata, nella quale l’immagine è lo stereotipo, e lo stereotipo è l’immagine, diventa l’argomento di un monologo recitato da Belmondo. In piedi, in mezzo a un campo di mais, Ferdinad dichiara: “Viviamo nell’epoca dell’Uomo Doppio” (2). In effetti, la consapevolezza di Ferdinand che ogni cosa, ossessivamente, ha la sua replica, si inserisce alla perfezione nella pratica --a sua volta ossessiva-- della Pop Art di moltiplicare all’infinito la stessa immagine. Invece di percepire questa serialità come una forma di creatività, Roland Barthes sottolinea il potere debilitante della ripetizione. In un saggio sulla Pop Art, egli osserva, “il Doppio è innocuo, ha perso tutto il suo potere malefico o morale, non minaccia né ossessiona: il Doppio è una Copia, non un’Ombra: accanto, non dietro: un Doppio piatto, insignificante, quindi irreligioso”(3).

    Dal 22 febbraio al 10 marzo, presentando una mostra sulle ombre e sulla mascolinità intitolata Hombres alla Casa Italiana Zerilli Merimò della New York University, Luigi Billi risponde a istanze diverse da quelle affrontate dalla Pop Art negli anni '60. Il soggetto che tratta è la mascolinità e la sua ambizione è quella di rappresentare il sé maschile in modo da separare il concetto di Ombra da quello di Doppio. Se negli anni ‘60, secondo Roland Barthes, il Doppio demoniaco è degradato al rango di copia “innocua”, con gli hombres di Billi la questione rimane ancora aperta: Ombra di chi? o di cosa?

    Di fronte alle tredici immagini di Billi, si comincia a percepire che le sue Ombre hanno un’energia e un movimento a loro propri, una vita che potrebbe dirsi perfino invidiabile. L’obiettivo di questo saggio è quello di spiegare come sia stata ottenuta questa indipendenza dell’Ombra dalla sua fonte, fino a che, dopo aver analizzato la serie di Billi, non sarà più possibile rimanere ancorati ai termini Ombra e Doppio, Sé e Altro, come se fossero ancora intercambiabili.

    Gli hombres di Luigi Billi sono uomini che tengono oggetti intesi come icone della condizione maschile. Vale la pena ricordare qui che gli oggetti --i vestiti, specialmente-- giocavano un ruolo ossessivo nel racconto tenebroso di Poe. La sinistra somiglianza tra l’abbigliamento del protagonista e i vestiti del suo Doppio, incoraggiano William Wilson ad attuare il suo errore fatale. Vale la pena notare che gli hombres di Billi non indossano vestiti: esistono semplicemente come sagome corporee con contrassegni di mascolinità. Inoltre nel racconto di Poe, l’enfasi posta sul vestiario e, generalmente parlando, sull’apparenza esterna, implica una tensione tra superficie e profondità, visibile ed invisibile, che è assente negli hombres di Billi. Dato che queste figure assomigliano a fiammelle e si muovono, ma sono anche piuttosto piatte.
    Perché tutto questo? Credo che nella storia di Poe, i vestiti servano ad ingannare il lettore facendogli credere che ci siano due diversi William Wilson. Non appena gli identici vestiti siano tolti, la differenza tra il Sé e l’Altro diviene evidente, e il vero William Wilson sarà in grado di sconfiggere il suo Doppio. Quindi Poe rassicura il lettore dicendogli che il nostro lato oscuro è, dopo tutto, governabile. Alcuni decenni dopo, Sigmund Freud definirà l’Inconscio come qualcosa che è inaccessibile al Sé, e come quel qualcosa che va al di là del proprio controllo, poiché parla solo attraverso sintomi, segnali, tracce.

    L’ermeneutica del sospetto, tradizionalmente associata alla psicoanalisi, non è rilevante negli hombres di Billi. Nel guardare il lavoro di questo artista, il punto non è ciò che è sotto, o dietro le Ombre. Queste Ombre non sono sintomi. Sono piuttosto fuggevoli proiezioni di un modo di essere che sta in bilico tra passato e futuro. Gli hombres di Billi più che simboleggiare qualcosa di represso o di nascosto, indicano un ideale maschile che sta per nascere. In altre parole, l’invenzione evocativa e l’immaginazione prevalgono sullo scandaglio psicoanalitico e sull’analisi.

    In contrasto con l’uso del vestiario fatto da Poe, gli oggetti di Billi non esistono in qualità di segni che attestino la somiglianza tra una persona e l’altra. Al contrario, gli oggetti di scena di Billi sono caratterizzati da un’aura di autonomia, non solo in relazione alle Ombre, ma anche nei confronti del mondo. Questi oggetti hanno un’intensa qualità concettuale, tanto da non poter essere immaginati in un altro contesto. Il loro valore d’uso non è in questione. Questi oggetti non potranno mai diventare degli utensili. Colpiscono l’osservatore come se fossero estensioni del corpo maschile, qualcosa come un ripensamento, o la nuvoletta di un fumetto, per descrivere uno stato d’animo.

    Le sagome di Billi --forme nere su uno sfondo bianco, spoglio-- sollevano molte questioni: che relazione hanno queste ombre con i famosi studi sul movimento di Muybridge, che avevano come protagonisti uomini e donne? che hanno da dire le ombre di Billi a proposito della mascolinità? che differenza c’è tra Ombre e Doppi?

    Per poter rispondere a tutte queste domande, è meglio descrivere ulteriormente gli hombres di Billi, che non sono contrassegnati da una progressione prestabilita, da un numero posto accanto ad ognuno di essi. Quindi, in questo saggio, la mia sequenza di esempi è un racconto che io, come critico, impongo sul lavoro dell’artista come forma di interpretazione.

    Tutte queste Ombre fanno un uso improprio dei loro rispettivi oggetti. L’Ombra maschile che tiene in mano la cornetta del telefono vi urla dentro. Inoltre, non vi è traccia nell’immagine del resto dell’oggetto: mancano il filo e la parte del telefono con il disco. Questa è la telefonata di un uomo che quasi non ha telefono: ancora peggio, ci si può chiedere se quest’Ombra maschile sia così sola che invece di parlare a un’altra Ombra può solo rivolgersi alla cornetta.

    Vale la pena notare che l’Ombra tiene in mano la cornetta come fosse uno specchio. Ed è proprio lo specchio ad ingannare William Wilson al punto da spingerlo ad uccidersi, quindi, è forse rassicurante vedere che in tutta la serie di Billi non appare alcuna superficie riflettente. L’ironia del telefono usato come specchio, sostituendosi a quello di Poe, è quindi ancora più pregnante.

    Infine, L’Ombra di Billi è l’opposto di un ascoltatore. Sta letteralmente urlando nel telefono. Ancora una volta, questo atteggiamento è l’opposto del protagonista di Poe. William Wilson è, non solo un ardente osservatore di oggetti e vestiti, ma anche un ascoltatore estremamente attento, che cade preda della voce mormorante del suo Doppio.

    Mentre, a prima vista, l’episodio del telefono può sembrare un’immagine di rabbia e di solipsismo, c’è anche qualcosa di umoristico in tutta la situazione. In quest’epoca di interazione elettronica, fa piacere vedere qualcuno urlare al telefono. Infine, un braccio dell’Ombra di Billi indica un altro luogo, al di là dell’immagine e al di là della telefonata. E’ chiaro che c’è un altro spazio al di là della cornice o forse si discute di qualcun altro nel corso della telefonata --che potrebbe meritare una storia completamente diversa e una vita completamente diversa.

    La maggior parte delle Ombre di Billi sono o dritte o impegnate in un’intensa attività fisica. Queste sagome hanno una qualità volitiva. Sono muscolose piuttosto che tremanti, compatte al punto che i loro volumi coprono le superfici sulle quali vivono. E’ letteralmente impossibile vedere cosa ci sia sotto di loro. I loro contorni sono contraddittori: a volte, i dettagli dei profili facciali sono molto più delineati del resto del corpo. Alla fine, la funzione individualizzante di un profilo o di una posizione leggermente più personalizzati sembra essere, sempre, subordinata all’illusione del movimento, all'immagine dell’energia.

    Nell’episodio della telefonata senza un apparecchio telefonico completo, c’è una figura maschile seduta. La serie comprende solo un altro esempio di Ombra vicina alla terra. Si tratta dell’immagine di un uomo inginocchiato ai bordi di quello che sembra uno spazio vuoto, simile ad un precipizio, mentre tiene in mano un grazioso ramoscello: a metà strada tra il fiore e la pianta. Proprio come nel caso del disco telefonico mancante, qui la terra è data come presupposto, ma non è mostrata. Questa assenza di un luogo dove piantare una nuova vita, dona una certa sfumatura ironica a tutta l’immagine: l’uomo come origine della specie, il padrone della natura, responsabile della sua crescita e del suo sviluppo, tiene in mano una pianta che non ha origini visibili. La creazione si è fermata. Ancora più interessante, l’Ombra guarda la pianta così intensamente che anche questo oggetto rientra nella categoria dell’uso improprio, perché la sua funzione nello spazio assomiglia più a quella del libro di preghiere, o di un'altra icona religiosa o feticcio magico. E’ come se stessimo guardando l’Ombra di un uomo che prega. Di tutte le Ombre, questa figura in preghiera è forse quella più vicina al ruolo dell’artista. L’invenzione richiede creatività, e la creatività dipende dalla fertilità. L’obiettivo di colui che prega è forse lo sviluppo di un nuovo modo di essere produttivi, in assenza della riproduzione legata alla terra.

    Il tema dell’uso improprio degli oggetti diviene soprattutto potente in alcune altre immagini, che esplorano stereotipicamente campi dominati dal maschio quali l’ideologia e la costruzione, l’aggressione e la punizione. E’ in questi altri esempi che il lavoro di Billi rivela il suo programma più umoristico e decostruttivo. Le Ombre che tengono in mano la falce e il martello, le forbici e la bandiera, sembrano rispettivamente, la raffigurazione tripartita di un maestro d’orchestra trasportato dal movimento della musica. Il suono, invece della visione, sembra essere il vero protagonista della serie di Billi. Ecco perché, forse, una delle Ombre raffigura un giovane uomo che suona il violino, mentre l’Ombra di un altro personaggio che tiene una lampada è la più sottile e la più eterea dell’intero gruppo. Mentre il violino spicca come l’oggetto più bello di tutto l’insieme, la lampada è, per definizione, impotente, perché è diventata un’Ombra, quando -al contrario- dovrebbe essere una fonte di luce. Al contrario, la musica proveniente dal violino non cozza con il suo status visuale, ombroso.

    Nella serie di Billi, gli echi minacciano di far soccombere le Ombre. Il pericolo nascosto suggerisce un desiderio ancora più segreto di usare il suono per destabilizzare le immagini delle Ombre, vale a dire figure che già richiamano l’attenzione sulla loro esistenza precaria. Il culmine di questa decostruzione umoristica, ma coerente, dell’essere uomo appare in due esempi. In un’immagine, un uomo è aggrappato ad una scala: verticalità, superiorità, dominio, prospettiva a volo d’uccello --sono queste le promesse che si dischiudono a colui che sale. Sfortunatamente, sembra che la scala stia per sciogliersi a terra. Allo stesso modo l’Ombra umana è un’immagine che comunica un messaggio ambiguo. Dal busto in su: la forza, il pugno, la tensione muscolare della mano che afferra un piolo della scala; eppure dalla cintola in giù, le ginocchia sono piegate, le gambe scivolano nel pavimento.

    In un’altra immagine, un uomo tiene alte entrambe le braccia con i polsi legati da manette. Un prigioniero politico o uno scenario sessuale trasgressivo? In ogni caso, sofferenza o rischio, lo slancio della sagoma corporea contraddice in pieno i connotati dell’oggetto. Quest’ultimo è presumibilmente legato alla marginalità e alla devianza, nella sfera pubblica o in quella privata. L’ombra ammanettata di Billi sembra entusiasta, a dir poco, di trovarsi in una situazione così spiacevole. Ci si può chiedere se il sollievo venga dall’impossibilità di compiere una qualsiasi azione: da qui la posizione di salto che evoca lo strano senso di liberazione che una costrizione imposta dall’esterno può offrire alla nostra vita interiore. Come un atleta pronto a balzare nell’ignoto, l’Ombra ammanettata è così energetica che sembra stia correndo felice attraverso e al di là della cornice.

    Le ultime tre immagini della serie di Billi sono anche le più estreme nel loro uso improprio degli oggetti. L’ultimissimo esempio, l’Ombra di un bevitore, sfida più di tutte la tradizione, con il suo espandere e far esplodere plasticamente il concetto di Ombra. L’Ombra dell’ubriaco, infatti, sembra ingrandirsi man mano che beve dalla bottiglia. Invece di essere un’icona dotata di connotati perturbanti e seri, qui l’Ombra di Billi evoca le tecniche di animazione. Queste ultime rappresentano una modalità di animazione che precede ed eccede il cinema narrativo di più vasto pubblico. Con l’animazione, i legami tra gioco di ombre e proiezione, apparecchio cinematico e inconscio, vengono abbandonati in favore di metamorfosi che sfidano di proposito tutti i parametri dell' illusionismo.

    Ma prima dell’ubriaco, altre due immagini si prendono gioco dell’aggressione maschile: un’Ombra slanciata tiene in mano un coltello fallico, ma questo fallo è anche oggetto dello sguardo intenso dell’Ombra. Invece di puntare a un nemico immaginario, l’aggressore perde tutta la propria concentrazione, innamorandosi dell’arma. Il dialogo si svolge tra gli occhi e il coltello dell’Ombra. Sembra non esserci nessun altro. L’azione aggressiva si è trasformata in contemplazione estetica.

    Naturalmente, una delle Ombre ha in mano un’arma. Ormai abbiamo quasi raggiunto la fine della serie: l’immagine dell’arma viene prima di quella dell’ubriaco. Ciò vuol dire che sono disponibili due opzioni: suicidio o alcolismo. Ma il suicidio appare più umoristico che tragico. Ancora una volta Billi è troppo intelligente per prendere davvero sul serio le nozioni convenzionali di solipsismo maschile. L’attore del suicidio è un’Ombra che si punta un’arma alla testa, mentre l’altra mano sembra stare sul lato opposto dell’orecchio. Questa è un’Ombra che, fino all’ultimissimo minuto, vuole essere pubblico di se stessa. E’ come se Billi stesse sminuendo il dramma del suicidio mettendo a fuoco un atteggiamento di auto-indulgenza, una certa forma di teatrale narcisismo maschile. Il colpo dell’arma sta per segnare l’apoteosi e la dissoluzione dell’attore maschio, della mascolinità come veicolo di azione nel mondo.

    Questa ispezione nel potenziale liberatorio del non impegnarsi nell’azione, nella supremazia, e nelle decisioni, fa venire in mente la connotazione di genere del corpo umano degli studi protocinematici sul movimento di Eadweard Muybridge, che si servono di soggetti sia maschili che femminili. Nel suo studio “Film Body: An Implantation of Perversions”, Linda Williams spiega come le immagini di Muybridge, per quanto semplici possano essere, già comportano nozioni stereotipate sulla differenza sessuale nel modo in cui gli uomini fanno accadere qualcosa, mentre le donne appaiono solo come spettatrici. Infatti, l’impegno delle donne in attività è caratterizzato da un surplus di dettagli. Questo surplus iconico, a sua volta, imprigiona le figure femminili, con più forza delle loro controparti maschili, in “un sistema socialmente prescritto di oggetti e di gesti” (4).

    Qual è allora la differenza tra la serie di Ombre fatta da Billi e gli studi sul movimento di Muybridge? Prima di tutto, nel trattare le Ombre maschili, l’artista italiano non rinuncia al movimento né all’azione. Ma è vero che priva le sue figure di un terreno ben definito e stabile sul quale collocarle. Attraverso l’ironia, l’umorismo e un Chaplinesco uso improprio degli oggetti, le Ombre di Billi si sono ribellate a “un sistema socialmente prescritto di oggetti e di gesti”. Invece di portare avanti una nozione tradizionale di mascolinità, ogni Ombra rimette in questione le convenzioni annesse alle cose, agli oggetti e ai simboli fallici, finché l’ubriaco si spinge tanto oltre da sfidare l’identità di schiava della stessa Ombra.

    Perché l’Ombra è come uno schiava? Perché l’immagine dell’Ombra appartiene al mito della caverna, il teatro in movimento archetipico, la tradizione platonica dell’illusionismo. Le Ombre erano le proiezioni di statue di legno sulla parete della caverna per un pubblico di schiavi incatenati a terra. Questi prigionieri erano spettatori mai usciti alla luce del sole. Ma proprio perché gli schiavi erano così assorti nell’osservare le Ombre che si muovevano sulla parete, mi pare giusto ipotizzare che gli schiavi debbano aver avuto qualcosa in comune con le stesse Ombre.

    In un certo senso, essere uno schiavo significa essere legato all’Ombra che le convenzioni sociali proiettano o su di noi direttamente, o sulla parete della vita quotidiana.

    Le Ombre di Billi, al contrario, sono creature indipendenti, senza contesto e senza pareti intorno a loro. Ecco perché ogni immagine comprende una sola cosa alla volta, senza altri oggetti di scena e altra architettura, perché questa decontestualizzazione svela il desiderio irrefrenabile di una sorta di spazio immaginario, utopico.

    Per concludere, le Ombre di Billi non sono né schiave della società né doppioni della psiche maschile. Stanno per conto loro. E’ questa strana sorta di libertà e di sfida, mista ad umorismo e marginalità, che sostiene il filo rosso del programma decostruttivo dell’artista. In altre parole, staccando l’ombra dai suoi legami con il doppelgangar, Billi trasforma i connotati demoniaci dello sdoppiamento, il sé scisso della pittura e della letteratura romantica, in una ripresa più leggera, ma anche trasgressiva, dell’identità maschile. Invece di uccidersi alla maniera di William Wilson e dei suoi seguaci, le Ombre di Billi non scambiano i propri riflessi nello specchio della mente per ottenerne un Doppio. Questi hombres non cadono nella banalità, come fanno, secondo Roland Barthes, i Doppi della Pop Art. Quindi l’artista dà vita a nuove proiezioni di mascolinità che non cercano né di rispecchiarsi nel mondo intorno a loro, né di rimodellarlo secondo le proprie soggettività.

    NOTE

    1) “William Wilson”, The Complete Works of Allan Poe, Tales, vol.3 (New York and London: G.P.Putnam’s Sons, 1902) pp.317-349.
    2) Angela Dalle Vacche, “Jean-Luc Godard’s Pierrot Le Fou: Cinema as Collage against Painting”, Cinema and Painting: How Art is Used in Film (Austin: The University of Texas Press, 1996), pp.107-134.
    3) Eric Marty ed. “Cette vieille chose, l’art” Roland Barthes: Oeuvres Completes, 1974-1980, vol.3 (Paris: Editions du Seuil), p.1222. Traduzione italiana: “L’arte, questa vecchia cosa...”, in Pop Art. Evoluzione di una generazione, catalogo, Electa, Milano 1980.
    4) Linda Williams, “Film Body: An Implantation of Perversion”, in: Phil Rosen ed., Narrative, Apparatus, Ideology: A Film Theory Reader (New York: Columbia University Press, 1986), p.512.