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  • Ciò che le dodici ombre hanno fatto questa notte denota tale determinazione, tale orgoglio e - permettetemi di dire - tale vitalità che ogni cosa intorno a me adesso è confusa. Sono un direttore di istituto di pena e i miei occhi sono abituati ad altro.

    Occupavano le celle del corridoio numero 8. Un normale campione carcerario: due politici, un rapinatore, un manager corrotto, un contadino che aveva assassinato la moglie a forbiciate, un bel ragazzo specializzato in truffe, uno spacciatore e così via. Tutti uomini sani, non diversi dagli altri detenuti. Il più degno di nota tra loro era il Portoghese: uno che considerava solo l'oceano alla sua altezza.

    Lo faccio chiamare. Sembra che finalmente abbia trovato il suo oceano. La pelle è screpolata dal sale, è come carta e lui, probabilmente, si sente ormai perfetto. Morirà, credo, in un paio d'ore. La sua menomazione mi ferisce gli occhi. Fa gli onori di casa. Arrogante, anche adesso che non si regge più in piedi.
    "Prego, direttore, chieda pure."
    "Dimmi una cosa, lo sapevate? Voglio dire, tu, lo sapevi?"
    "No, non lo sapevo ma mi piace. Mi sembra una splendida idea. E lei, direttore, lo sapeva?"
    "Io?"
    Il Portoghese non è mai stato generoso. Da lui non caverò altro.

    Sono il direttore, qui, e tutto quello che avviene avviene perché io lo faccio avvenire. Anche quello che non so. Poche settimane fa nel corridoio numero 8 era scoppiata una rissa. Non tollero episodi simili nel mio istituto. Diedi l'ordine di schierare i detenuti per dodici ore, in riga, nel cortile maggiore, con la faccia rivolta al muro di cinta. Senza muoversi. Quando il sole girò alle loro spalle erano le due di pomeriggio. Era un sole caldo, vibrante: le ombre dei detenuti si proiettavano sul muro morbide, carnali. I mattoni davano loro un colore di pelle abbronzata. Ricordo bene quelle ombre: per un attimo persino la mia immaginazione ne rimase turbata. Poi il Ragazzo svenne. Rimase accucciato sui suoi piedi per qualche minuto, infine fu portato in infermeria. Gli altri restarono in piedi fino al tramonto. Qualcosa deve essere accaduto, quel pomeriggio.

    Il Ragazzo è l'unico a essersela cavata. Adesso sta qui davanti a me. Non so dove abbia trovato quella rosa, ma è appropriata. Sembra in buona salute, e calmo.
    "Forse tu puoi dirmi cosa è successo quel pomeriggio di luglio."
    "Non so, direttore, veramente non so. A un certo punto sono svenuto, ricorda?"
    "Però c'eri, in cortile."
    "Sì. E' difficile, molto difficile. Credo che sia successo qualcosa tra le ombre e il muro, una reazione, ma non so spiegarlo."
    "Vuoi dire che le ombre sono passate di là dal muro?"
    "No, no, non credo. Non so, direttore, proprio non lo so."
    "Tra le ombre e il muro. Forse vuoi dire..."
    Il Ragazzo lo interruppe:
    "E' come se a forza di proiettarsi su quel muro le ombre avessero raggiunto la loro massa minima, massa critica credo che si dica."
    Neanche i detenuti ne sanno niente, questo è il fatto.

    Agostino, l'agente di guardia, è un uomo piuttosto rozzo ma è accurato.
    Dice di avere notato che da quel giorno di luglio gli uomini del corridoio numero 8 erano cambiati: "Niente di sospetto, non è che confabulassero, direttore, me ne sarei accorto. Al contrario, erano particolarmente silenziosi, troppo zitti per i miei gusti, specialmente il Portoghese. Però ronzavano tutti nella stessa aria, ecco."
    "Che vuol dire ronzavano nella stessa aria?"
    "Come calabroni ronzavano, si stavano addosso, ecco, erano sempre uno vicino all'altro, persino il Portoghese si aggirava intorno ai compagni come se avesse bisogno di calore. Il Portoghese, dico."
    "E il Ragazzo?"
    "Il Ragazzo è sempre vicino a qualcuno, da quando lo conosco."
    "E perché non me hai parlato?"
    "Cosa le dicevo, che quelli del corridoio numero 8 sembravano calabroni? Che erano tristi? E chi se ne frega, mi avrebbe risposto, direttore, con rispetto parlando."
    "E poi?"
    "E poi? direttore cosa vuole che ne sappia io? Non lo sa nessuno."

    La fuga è avvenuta questa notte. La luna doveva essere già tramontata e le luci dei corridoi spente, quindi certamente non prima delle tre. Hanno agito nel più assoluto silenzio, senza che una foglia oscillasse sul picciolo o dal pavimento si levasse un cigolio. Nessun fiato, né spostamento d'aria, né il battito di un cuore in ansia. Con uno strumento che non so immaginare, le dodici ombre si sono tagliate via di netto i piedi e se ne sono andate. Evase.

    "Ecco direttore. Questa mattina i detenuti si sono alzati alle 6 e mezza, come sempre. Si sono lavati, sono andati a mensa. Anche il Portoghese, anche i due politici, il Ragazzo, tutti quanti. Tutto normale. Nessuno si è accorto di niente, né noi agenti né gli altri detenuti. Forse per colpa della luce artificiale oppure perché, Cristo santo, chi si mette a far caso a una cosa simile? Non mi pare neanche che fossero particolarmente pallidi ma mi posso sbagliare. Quello che posso assicurarle, direttore, è che nessuno poteva pensare che due ore dopo quei dodici sarebbero stati moribondi. Stanno morendo, direttore, il manager è già in coma, volevo dirglielo. Ecco.
    Poi in cortile ho visto il Portoghese, da solo. Aveva qualcosa di strano, stava curvo, come un rapace. Sa, il Portoghese non si è mai piegato di un grado, così ci ho fatto caso. Gli si è avvicinato il Ragazzo e a quel punto improvvisamente ho visto, me ne sono accorto voglio dire. Una bella fiatata di diavolo, direttore, se lo immagina, ho pensato di stare davvero male. Così, ecco: tutti i detenuti del corridoio numero 8, tranne il Ragazzo, erano senza ombra. A meno di non voler considerare ombra quel moncherino rimasto attaccato alle loro caviglie. Appena ho potuto le ho telefonato.
    Questi sono i fatti. Ecco. Ha pensato a cosa dire alla polizia giudiziaria, direttore?"