• hombres

  • Un catalogo di ombre la cui origine, tagliata fuori scena, consiste di altrettanti uomini di varia corporatura, ciascuno nell’atto di usare, trasportare o esibire un proprio oggetto che lo caratterizza. Oggetti che nell’insieme compongono - per uso, invenzione, carattere simbolico o per una tradizione più intuita che dimostrata - una specie di anello maschile.
    Piuttosto che lanciarsi nella decifrazione dei ruoli - che pure si rivela importante alla comprensione di questo lavoro di Luigi Billi- è prioritaria la scelta dell’ombra, rispetto a quella del corpo originale.

    Poichè a niente di visibile si nega l’ombra e l’invisibile al pari si caratterizza per una mancanza d’ombra,: l’ombra è una conseguenza diretta della sua sola visibilità. Che una cosa sia oggetto di sguardi é sufficiente a garantirle un’ombra, indipendentemente da tante sue altre caratteristiche materiali, ininfluenti riguardo all’attributo dell’ombra.
    Un oggetto può essere indagato dalla mano, ma non c’é altro modo di percepirne l’ombra se non vedendola. Perciò l’ombra é il visibile per eccellenza, e un’ombra che perda i suoi contorni è segno di una corruzione della vista.
    Una patata e una pietra potranno avere ombre somiglianti, Caino e Abele ombre ricalcabili, e il carattere o l’anima o la memoria o i sentimenti più nascosti non figurano nell’ombra. Anche il tempo storico sfugge all’ombra, che ne è relativamente svuotata per una sua propensione a cancellare rughe e segni particolari, e l’ombra di un corpo nudo è di difficile datazione. Effetto di tale indifferenza é la freddezza morale che comportano le ombre cinesi e i teatrini di sagome, nei quali ogni dramma si risolve in quella chiave astratta che può risultare anche offensiva verso verità individuali e troppo interiori per essere scritte sull’ombra, le quali tuttavia rappresentano per ciascuno una risorsa irrinunciabile di singolarità esistenziale, di biografia e di piacere connesso alla biografia.
    A fronte della multiformità materiale e storica dei corpi, l’ombra universalmente ammonisce che sono tutti lo stesso, in quanto tutti ugualmente visibili. Democrazia dello sguardo, nelle sue pur numerose iniquità.

    L’oggetto e la sua ombra amministrano la nostra percezione della luce e della materia, ma la cittadinanza dell’ombra nel mondo materiale è ambigua: essa vi figura infatti in virtù della sua immaterialità e così appartiene a quel mondo nella veste di eccezione e nella forma di una mancanza - mancanza della luce appunto.
    L’oggetto ha molti vantaggi che ai nostri sensi procurano piacere e dispiacere - odori, colori, sapori, superfici, cavità, spessori, un fascio complesso e coinvolgente di attributi e di possibilità.
    Al contrario l’ombra non ha che un solo vantaggio: quello di avere un profilo. Proiettata sulla parete, l’ombra di un corpo ne rivela il profilo in modo più certo e semplificato di quanto la pelle e le sue macchie non riescano a fare. L’ombra genera profili: questa la specialità dell’ombra. L’ombra riduce la scala del reale a una questione di zone contrastanti, oppositive, tendenzialmente nette intorno a una linea chiusa che, più è intensa la luce, più si precisa e acquista sostanza di figura.

    Le campiture concettuali, i domini dei significati, a nient’altro tendono che a questa definizione pulita, profilo messo a fuoco, astrazione leggibile: l’ombra ne è l’esperienza sensibile, quando articola lo spazio luminoso in chiuse rappresentazioni.

    L’ombra non concede nulla ai nostri sensi. L’ombra è di una tale povertà di valenze percettive da essere tradizionalmente considerata ingannevole e fugace, insostanziale, effimera, indotta dallo sguardo e dalle sue allucinazioni, ultramondana, simile all’ideale, inesperibile e irrappresentabile poichè ogni esperienza e ogni rappresentazione dell’ombra non possono che riproporre l’ombra stessa tale e quale, non un aggettivo in più non uno in meno, passibile solo di nomi propri - l’ombra di questo, l’ombra di quell’altro... - in una varia declinazione di profili alternativi lungo un’unica materia assolutamente irriducibile e impalpabile, la linea.
    Sarà questa carenza dell’ombra o sua sordità materiale a farne la fortuna nelle parabole filosofiche e nelle mitologie del sapere, che privilegiando l’aspetto visuale della realtà individuano nell’ombra il gradino primitivo, quello superabile dai soli occhi e già capace di significato; già in grado di indicare un’idea - un profilo appunto. L’ombra ha solo il profilo da far valere, l’unico suo segreto è il nome dell’oggetto cui appartiene: la sua origine proiettiva.

    Lo sforzo di identificazione, pulsione davvero primitiva, alimenta un piacere tutto culturale che obbedisce alla creazione e allo sviluppo di tipologie. Quel che possiamo ridurre alla somiglianza minima determina un tipo, e si sa che l’elenco delle caratteristiche di quello che si dice “il mio tipo” non è che un ritratto d’ombra, con tutta la dongiovannina malinconia che ciò determina. Per questo un catalogo di ombre é il catalogo minimo, essendo l’ombra destinata al profilo e dunque alla tipologia, che le é connaturata.
    Lo sforzo di identificazione avviene su un piano astratto, il che comporta una violenza ineliminabile - offesa che fa parte della vita e della sua sostanza conoscitiva e comunicativa. L’ombra é la condizione del visibile come la legge è il prezzo della comunità umana.
    A ben guardare il prezzo consiste nell’accettarsi in qualità di esempi e riconoscersi nelle somiglianze, ovvero sottomettersi a uno sguardo e riconciliarsi con l’ombra.